Numerosi studi suggeriscono un’associazione tra la presenza di patologie cardiovascolari e la forma severa di COVID-19. I pazienti che necessitano di terapia intensiva hanno più frequentemente ipertensione arteriosa sistemica, patologie cardiache o cerebrovascolari e diabete.
Il meccanismo alla base di questa associazione è ancora sconosciuto. Una potenziale spiegazione comprende il fatto che le patologie cardiovascolari sono prevalenti nei pazienti con età avanzata, sistema immunitario deficitario ed elevata espressione del recettore ACE2 sulle membrane cellulari. Sono questi i pazienti più a rischio di contrarre la forma più aggressiva di COVID-19.
Viceversa, il SARS-CoV-2 sembra essere anche associato a danno cardiaco indipendentemente dalla presenza di patologie cardiovascolari pregresse. Nei primi studi che comprendevano i pazienti COVID-19 ricoverati a Wuhan, in Cina, il 22% dei pazienti che necessitavano di cure intensive presentavano elevati livelli di Troponina I nel sangue, alterazioni ischemiche all’elettrocardiogramma o all’ecocardiogramma. Tali anomalie sono state riscontrate anche nei pazienti che non avevano patologie cardiovascolari preesistenti. Report recenti indicano la presenza di due pattern diversi di danno miocardico da COVID-19.
Nel primo tipo si assiste ad un’elevazione delle troponine dopo circa 4 giorni dall’esordio dei sintomi. Nei pazienti con forma molto severa di COVID-19 le troponine continuano a salire in maniera esponenziale indicando un danno cardiaco importante. Solitamente si tratta dei casi ad esito infausto e il decesso avviene generalmente entro 19 giorni dall’esordio dei sintomi. In questi pazienti sono stati riscontrati anche elevati biomarker di infiammazione sistemica: D-dimero, ferritina, interleuchina 6, lattato-dedrogenasi. I pazienti che invece non presentano questo progressivo rialzo delle troponine, anche se ricoverati in terapia intensiva per la severità del quadro polmonare, hanno una prognosi molto più favorevole. I
l secondo pattern di danno cardiaco ha un esordio molto più brusco: i pazienti si presentano in ospedale con un quadro simile ad una miocardite. Oltre ad elevati livelli di troponine, si possono avere: dolore toracico anginoso, segni ischemici all’elettrocardiogramma e importante riduzione della funzione cardiaca all’ecocardiogramma. Il paziente può arrivare in ospedale già in shock cardiogeno e necessitare di un supporto emodinamico anche meccanico oltre che farmacologico. In questi casi, nonostante non vi sia un trattamento specifico contro il SARS-CoV-2, l’utilizzo dei farmaci cortisonici ad alte dosi (come per trattare una miocardite), ha comportato il recupero della funzione cardiaca.
L’esatto meccanismo con cui il COVID-19 coinvolge il cuore non è del tutto chiaro. Uno dei possibili fattori è il danno cardiaco direttamente correlato alla presenza di elevati livelli di recettore ACE2 sulle cellule miocardiche. Altri Autori, invece, sono più propensi a riconoscere nell’eccessiva risposta infiammatoria la vera causa. In particolare la cascata delle citochine pro-infiammatorie mediata da un’esagerata attivazione di alcuni sottotipi di linfociti T-helper, associata all’ipossia dovuta al danno polmonare causato dall’infezione, indurrebbe un’eccessiva entrata di calcio nelle cellule miocardiche con conseguente apoptosi delle stesse.
Un’altra forma di interessamento cardiaco da parte del SARS-CoV-2 è l’insorgenza di aritmie cardiache e di arresti cardiaci. Le aritmie ventricolari, comprese le tachicardie ventricolari e la fibrillazione ventricolare, possono avvenire in più del 40% dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Quest’elevata prevalenza di aritmie può essere in parte riconducibile allo sconvolgimento metabolico, all’ipossia e alla risposta infiammatoria causata dal COVID-19.
Episodi di scompenso cardiaco sono stati riscontrati fino al 23% dei pazienti infetti. Non è del tutto chiaro se tali episodi siano semplicemente l’esacerbazione di preesistenti disfunzioni ventricolari o se invece siano dovuti al danno miocardico diretto da parte del virus. I casi di scompenso cardiaco destro possono inoltre essere correlati all’instaurarsi di ipertensione polmonare nel contesto della severa flogosi del parenchima polmonare.
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